lunedì 9 febbraio 2009

Jackendoff, Foundations of language


Negli ultimi mesi ho passato molto tempo a studiare Foundations of language di Ray Jackendoff. È un libro importante, e un discreto tentativo di far quadrare diversi aspetti della linguistica contemporanea in un'ottica generativista.

Al livello più alto, la proposta di Jackendoff consiste nel mostrare come la lingua sia prodotta dall'interazione di tre livelli diversi: fonologico, sintattico e semantico/concettuale. I tre livelli sono uniti da interfacce, e questo può spiegare molti tratti del linguaggio che in una visione monolitica non si spiegherebbero altrettanto bene. Inoltre, sono tutti e tre generativi.

Il rapporto con la grammatica generativa tradizionale è dato soprattutto dal mantenimento di tre punti chiave: il mentalismo (il linguaggio è nella mente), il ruolo importante dato alla combinatorialità o generatività della lingua, e l'idea che una Grammatica Universale sia innata.

Un'idea interessante, esplorata nel capitolo 6, è che tra il lessico e certi tipi di regole non ci sia poi molta differenza. Gli "oggetti lessicali" sono quindi descritti come componenti dell'interfaccia, indipendentemente dal fatto che siano composti da parole, parti di parole o regole più ampie. È forse la parte più convincente e, per me, innovativa del libro.

Un altro punto chiave è il rapporto con la semantica, e qui l'intreccio con il lavoro di Pinker è particolarmente interessante. Tutta la terza parte del libro è in effetti dedicata alla semantica, con argomenti che a volte sono un po' sconcertanti dal punto di vista filosofico ma che sembrano in buona parte ragionevoli.

Dal mio punto di vista, comunque, uno degli aspetti più interessanti è la prospettiva evoluzionistica del linguaggio. Jackendoff tenta infatti di mostrare che tipo di protolinguaggio potrebbe essersi evoluto dai sistemi di comunicazione dei primati, partendo in sostanza dai nomi. Alla base di questo tentativo c'è l'analisi del linguaggio contemporaneo, visto che "there is virtually nothing in the paleontological record that can yield strong evidence about when and in which stages the language capacity evolved" (p. 232).

Per i dettagli, Jackendoff ha come punto di partenza l'ipotesi di Bickerton: è esistita una fase di protolinguaggio simile, grosso modo, al linguaggio moderno meno la sintassi, e questa fase "riemerge" ancora in determinati tipi di afasia e nei pidgin, o nel linguaggio dei bambini. L'ipotesi viene poi sviluppata, partendo anche dalla constatazione che il linguaggio è utile all'interno di una struttura sociale sviluppata - come quella di molti primati. Primo stadio, enunciati simbolici con un solo simbolo, come le prime parole dei bambini, senza sintassi - ed è rilevante notare che alcuni primati sembrano in grado di imparare simboli di questo genere, ma non li inventano autonomamente, a differenza per esempio dei bambini sordi: "A leopard alarm call can report the sighting of a leopard, but cannot be used to ask if someone has seen a leopard lately" (p. 239).

E da qui si sviluppa il resto.

In generale: in Foundations of language non tutto è convincente, ma mi sembra che, come dice anche Pinker, questo libro sia la cosa più simile a una visione complessiva e condivisibile del linguaggio che si sia vista negli ultimi decenni.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi interesso di semantica operativa, nel senso del pensiero di Giuseppe Vaccarino e Silvio Ceccato,animatori a partire dal 1950 della Scuola Operativa Italiana, ho finito di leggere oggi "linguaggio e natura umana",mi ha lasciato diverse insoddisfazioni, chissà se in "Foundation" la musica è ...migliore.

Ivan Paolo

Mirko Tavosanis ha detto...

Spero di sì! Su alcune cose Jackendoff lascia un po' insoddisfatti... ma temo che la colpa sia più dello stato delle conoscenze che sua...

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