Stranamente, oggi ho un po' di tempo per leggermi con calma i giornali del fine settimana. Vale a dire, i due supplementi che acquisto regolarmente da anni: Alias per il manifesto e il Domenicale per il Sole - 24 ore.
Sulla prima pagina del Domenicale oggi c'è un articolo di Donald Sassoon, l'autore della Cultura degli europei. Libro che promette molto, ma che nelle biblioteche di Pisa non è ancora arrivato, né in originale né in traduzione... per leggerlo mi sa che dovrò aspettare un po' (o ricorrere al prestito interbibliotecario, sperando che venga riattivato). L'articolo di oggi invece tratta in modo intelligente i problemi di diritto d'autore e di proprietà intellettuale, con un'occhio all'evoluzione degli e-book.
Anche in queste poche colonne a stampa compare comunque la ben nota miopia anglosassone sulle faccende di proprietà intellettuale. Sassoon ricorda una legge veneziana del 1474 per la tutela di ciò che oggi chiameremmo "brevetti", e poi si sbriga a spiegare che "ci volle qualche secolo perché il concetto di proprietà intellettuale venisse esteso alle cose stampate". Sic! E si passa allo Statuto della Regina Anna, che nel 2009 compie giusto trecento anni.
Miopia curiosa... gli studiosi inglesi sono da sempre all'avanguardia su queste ricerche, ma apparentemente le loro scoperte non escono dal giro dei rinascimentalisti. Le tutele veneziane sui libri a stampa sono cosa già medievale, e per tutto il Cinquecento l'industria editoriale veneziana è la prima al mondo, con una produzione annuale media che sospetto sia dalle tre alle dieci volte superiore a quella inglese del 1709 (dovrei controllare ma ho pochi dubbi). E' la tradizione inglese del copyright a essere un'interessante ma quasi sempre marginale parentesi, nella storia del libro a stampa - non certo il sistema veneziano. Forse il problema è che manca una monografia recente, in inglese, su questi temi: ne parlavo a Leeds con Richardson, appunto.
Sempre nel Domenicale, Carlo Ossola recensisce L'officina linguistica del Tasso epico. Quasi nulla si dice dell'aspetto linguistico; ma alcuni dei versi citati sono effettivamente bellissimi. Poi Ossola chiude dicendo che questa "officina" ci indica "un tratto specifico del 'patrimonio' linguistico italiano. Non fioriscono da noi astratti alberi chomskiani, lingue artificiali del paradiso dell'Unità Suprema, perché la nostra lingua è un incessante sgorgare di polle, discendere di rivoli, di dialetti e sopralingue che Andrea Zanzotto ha mirabilmente cantato, lingua, via lattea che non cessa di farsi amare, piena di sogni, come una notte di San Lorenzo." Beh, forse! E forse no. E certo la cosa ha ben poco a che fare con Tasso, che pur aperto a molti stimoli è ormai, per fortuna, poeta in lingua italiana senza ulteriori precisazioni (il primo tra i grandi).
Sulla pagina di fronte, anche Fofi chiude una doppia recensione parlando di lingua. Commentando Oltre Babilonia, un romanzo di Igiaba Sciego (nata in Italia da genitori somali), scrive: "a partire da libri come questo potrebbe essere già utile riaprire la disputa antica sulla nostra lingua, di fronte alla nuova distanza tra una lingua media ufficiale, diciamo così televisivo-mediatica e una lingua nuova non più impastata di dialetti nazionali ma degli apporti di lingue straniere, delle lingue e dei dialetti degli immigrati". Bon, su questi temi la "disputa", che poi non è affatto una disputa, l'hanno già aperta da tempo e la stanno tenendo aperta parecchi studiosi di Linguistica italiana, che studiano da un pezzo l'argomento. Peccato che Fofi non se ne sia accorto... e questa, per una volta, non credo sia colpa dei colleghi!
Su Alias invece ho letto alcune osservazioni un po' impastrocchiate sulle reti materiali (dai cavi sottomarini ai gasdotti), contrapposte a quelle immateriali. E poi, soprattutto, un buon articolo di Francesco Mazzetta sulla critica dei videogiochi. Due titoli da tener presente: Marc Prensky, Mamma non rompere: sto imparando (tradotto in italiano), e soprattutto lo studio che sembra sia alla base del lavoro divulgativo di Prensky, What Video Games Have to Teach Us about Learning and Literacy, di James Paul Gee. Anche questo manca nelle biblioteche pisane, ma sembra davvero interessante!
Condivisibili anche le conclusioni di Mazzetta: Wsolo lo sviluppo di una vera e significativa critica videoludica può far sì che le sparse membra degli studi di settore possano iniziare a parlare fra di loro con una lingua comune e di conseguenza può far riconoscere al videogioco lo status culturale che merita".
Nel settore Talpa libri Ivan Tassi recensisce l'edizione recente delle Memorie italiane di Goldoni. Un altro libro che sembra interessantissimo, e che non avrò mai il tempo di leggere...
Come si traduce broligarchy?
-
Un neologismo usato in associazione alla futura presidenza Trump che
risulta poco trasparente senza alcune informazioni aggiuntive.
4 giorni fa
Nessun commento:
Posta un commento