mercoledì 5 agosto 2009

Hiltzik, Dealers of Lightning

Finalmente, ho quasi terminato la versione scritta della mia lezione di storia dell’informatica sul tema delle interfacce utente. È stato un lavoro molto divertente ma complesso; e una prima difficoltà, pratica, è dovuta al fatto che nelle biblioteche di Pisa non c’è molta documentazione in proposito (e il prestito interbibliotecario è rimasto fermo a lungo). Qualche mese fa ho quindi fatto un bell’ordine di libri usati a Betterworldbooks e, un po’ alla volta, mi sono messo a leggere.

Tra i materiali più leggeri c’è anche questo Dealers of Lightning (1999). Il titolo, d’accordo, è terribile; e il libro è divulgativo. Però è comunque una storia interessante del Palo Alto Research Center della Xerox nel periodo 1969-1981. Il PARC, come molti sanno, è il luogo in cui per la prima volta molte caratteristiche fondamentali dell’interfaccia utente dei computer contemporanei sono state messe a punto e introdotte in sistemi commerciali o quasi-commerciali, a cominciare dal computer Alto (1973). Insomma, è stato il luogo in cui le intuizioni degli anni Cinquanta e Sessanta sono uscite dal laboratorio... a differenza di quanto era successo con lo SRI di Douglas Engelbart.

Tuttavia il PARC si porta dietro la fama di essere stato una serie di occasioni mancate per la Xerox. Come sintetizza Hiltzik:

Xerox had the Alto; IBM launched the Personal Computer. Xerox had the graphical user interface with mouse, icons, and overlapping windows; Apple and Microsoft launched the Macintosh and Windows. Xerox invented What-You-See-Is-What-You-Get word processing; Microsoft brazenly turned it into Microsoft Word and conquered the office market. Xerox invented the Ethernet; today the battle for market share in the networking hardware industry is between Cisco Systems and 3Com. Even the laser printer is a tainted triumph. Thanks to the five years Xerox dithered in bringing it to market, IBM got there first, introducing its own model in 1975 (pp. 389-390).

Nelle pagine finali del libro in effetti Hiltzik contestualizza questo giudizio e lo sfuma un bel po’. Tuttavia il quadro che viene fuori dalle quattrocento pagine precedenti è abbastanza sorprendente. Hiltzik è un giornalista economico e racconta le vicende del PARC dal punto di vista delle dinamiche aziendali. Il quadro che ne esce è una storia di scontri tra bande e lotte per il potere tra persone variamente incompetenti (al punto che l’università italiana sembra al confronto un paradiso di razionalità, armonia e pianificazione...). Che alcune di queste persone abbiano inventato cose oggi fondamentali sembra quasi una contraddizione. Al punto che ci si chiede – è sempre la mia domanda di base, in fin dei conti – quanto queste innovazioni fossero sviluppi logici necessari e quanto invece siano state frutto dell’inventiva individuale.

Comunque segnalo il capitolo 20, The Worm That Ate the Ethernet (pp. 289-299), perché ho scoperto qui che il famoso worm creato da John Shoch venne all’epoca immediatamente ricondotto (da Steve Weyer) al tapeworm informatico immaginato pochi anni prima da John Brunner nel suo The Shockwave Rider (in italiano, Codice 4GH). Hiltzik definisce il tapeworm di Brunner “perhaps the first computer virus of fact or fiction” (p. 295), e, anche se con diversi distinguo, in effetti anche questo è un curioso esempio di preveggenza narrativa.

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