La settimana scorsa, una circolare del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (la n. 18, del 9 febbraio 2012) ha ribadito qualcosa che la legge già prevedeva, come nelle classiche grida manzoniane. I giornali, con la mancanza di memoria che li caratterizza in modo così sorprendente, si sono affrettati a rilanciare la notizia.
Ma di che cosa si parla, nello specifico? La circolare prevede che i libri di testo adottati nelle scuole italiane a partire dal 2012-2013 “debbono” (in perfetto burocratese: perché non “devono”?) essere “redatti in forma mista (parte cartacea e parte in formato digitale) ovvero debbono
essere interamente scaricabili da internet”. Il burocratese è il modo in cui si esprime chi non conosce molto le cose o chi non è capace di comunicarle, e anche qui se ne ha conferma: che cosa vuol dire che i testi devono essere “redatti”? No, chiaramente Carmela Palumbo, direttore generale del ministero e firmataria della circolare (o chi per lei ha “redatto” la circolare) intendeva dire “disponibili” o “presentati”, e non ha fatto controllo sul vocabolario. Pazienza.
Al di là dei problemi a comunicare in italiano, però, la circolare lascia del tutto inalterato il panorama. Ad esterminio dei libri su carta si ribadiscono le cose già dette nell’articolo 15 della legge 133/2008, di cui ho già parlato, e nella circolare ministeriale n. 16 del 10 febbraio 2009. Né la legge né la circolare offrono giustificazioni per questa scelta – c’è del resto abbondante bibliografia che mostra come in molti casi gli studenti trovino i libri di testo elettronici molto più difficili da usare rispetto ai testi su carta, anche se appunto la situazione va valutata caso per caso.
Come si pensa inoltre di usare questi libri elettronici? In quale forma? Non essendoci indicazioni sul formato in cui saranno “redatti”, pardon, presentati i libri, è impossibile per esempio capire quale tipo di hardware sarà necessario per sfruttarli. Sono iBooks? Bene, quanti studenti hanno a propria disposizione esclusiva un iPad? Uno su cinquanta? O forse saranno in formato Kindle? O Mobi? Oppure EPUB? Eccetera. Le domande che sorgono spontanee a chiunque intenda mettere in pratica le disposizioni di legge non sono nemmeno sfiorate. Per un’idea delle implicazioni, consiglio la lettura di un bell’articolo recente di Cyrus Farivar.
Dal punto di vista economico, è probabile che tutta l’iniziativa si traduca in un adempimento in pura perdita per le case editrici – che nel più semplice dei casi metteranno forse in linea i PDF dei testi, ammesso che qualcuno controlli il rispetto della condizione, in altri potrebbero trovarsi a creare complicati sistemi di gestione degli scaricamenti, password, eccetera. Lo stato attuale dell’editoria è d’altra parte tale che quasi tutti possano creare al volo almeno i PDF di qualcosa – al punto che uno dei punti chiave di un altro progetto problematico, la valutazione dei prodotti della ricerca delle università italiane nel 2004-2010, prevede che i ricercatori italiani inviino ai valutatori i PDF di tutto ciò che hanno pubblicato (aiutati in parte da una convenzione con gli editori), creando una biblioteca digitale senza eguali e destinata a essere distrutta al termine dell’esercizio.
Gli ottimisti potranno sperare che le disposizioni sui libri di testo abbiano qualche marginale utilità per il mercato dei libri elettronici. Io mi chiedo se per esempio le “università telematiche” abbiano favorito lo sviluppo di serie iniziative per la formazione a distanza in Italia, o se lo abbiano danneggiato. Propendo decisamente per la seconda ipotesi, e penso, per analogia, che questa cultura che fa corrispondere l’editoria elettronica a una serie di adempimenti insensati produrrà, alla lunga, più danni che vantaggi. Da addetto ai lavori, di sicuro non saluto con gioia queste disposizioni.
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