Ogni tanto il fondo del mare si smuove e riporta alla luce qualcosa di strano. Stavolta è toccato a un remoto racconto di fantascienza di Lloyd Biggle jr., 1923-2002, scrittore ben poco noto in Italia, a parte forse il suo romanzo sul teletrasporto, Tutti i colori del buio. John Clute dice che “his stories do often convey the sense of an unrealized greater potential”; Don D’Ammassa dice che “an undeveloped talent” viene fatto supporre da alcuni dei suoi racconti, e in particolare da “And madly teach” (1966).
Questo appunto è il racconto che ho recuperato sugli scaffali del garage durante una ripulitura. In italiano è stato pubblicato due volte nella traduzione realizzata nel 1968 da Bianca Russo con il titolo La professoressa marziana. L’edizione più recente è quella in un’antologia di racconti di fantascienza centrati sulla scuola, Il compito di latino, curata da Vincenzo Campo per Sellerio nel 1999 (all’interno di questa antologia c’è anche il mio racconto preferito di fantascienza scolastica, Primary education of the Camiroi, di quel genio che era Raphael Aloysius Lafferty); la più remota è quella che ho io, nel n. 493 di Urania, fatto dall’antologia originale La prova del nove... un miscuglio di racconti che Fruttero & Lucentini misero assieme in base a chissà quali criteri. In rete si trovano poi varie riproposizioni della traduzione italiana, che rendono ancora più facile la reperibilità.
Al racconto di Biggle Urania dedicò comunque la copertina: un Karel Thole assai tipico, che illustra una delle scene chiave della storia. Un po’ liberamente, visto che la lezione raccontata è in realtà di “inglese” (che in italiano diventa, beh, italiano...), e non di matematica, come quella rappresentata in copertina:
– Vediamo un po’ la lezione di Marjorie McMillan delle due. Insegna inglese al quinto anno e ha un Trendex molto alto, 64. Vediamo come se la cava. – Il giovanotto premette i vari tasti.
Alle due in punto, Marjorie McMillan comparve sul video, e la prima impressione dell’inorridita signorina Boltz fu che la professoressa McMillan stesse spogliandosi. Scarpe e calze, infatti, erano posate in bell’ordine, sul pavimento, vicino a lei. L’insegnate in quel momento stava sbottonandosi la camicetta. Alzò gli occhi verso la telecamera.
– Che cosa state a curiosare qui, cari? – tubò. – Credevo di essere sola.
La signorina McMillan era una bionda attraente, che vista di profilo mostrava una serie di curve sensazionali. La bionda sorrise, scrollò la testa , e fece il gesto di ritirarsi.
– Be’, visto che siamo tra amici... - disse poi.
La camicetta sparì, subito seguita dalla gonna, e l’insegnante rimase davanti allo schermo in un provocante due pezzi. La telecamera sottolineò l’oro e il rosso della sua figura mentre la signorina McMillan veniva avanti con passo di danza. Mentre passava, sempre con passo danzante, accanto alla cattedra, premette il tasto che inquadrava la lavagna.
– Ora, carissimi, è tempo di metterci al lavoro – disse. – Eccovi la prima frase. – Lesse a voce alta mentre scriveva alla lavagna: – L’uomo... percorreva... la strada... Percorreva, indica l’azione dell’uomo, la strada è il complemento oggetto. Che definizione buffa, vero? Mi seguite?
La signorina Boltz tentò una protesta: – Inglese per il quinto anno?
– Ieri abbiamo parlato del verbo – diceva la signorina McMillan. – Ve ne ricordate? Scommetto che non mi avete seguito, anzi scommetto che anche adesso non siete affatto attenti.
La signorina Boltz fu sopraffatta dallo sdegno. Sullo schermo, la signorina McMillan aveva slacciato il reggiseno, ma nell’attimo in cui l’indumento stava per cadere, lei lo bloccò appena in tempo. – Forse, un giorno o l’altro, me lo toglierò davvero. Non vorrete perdere quel momento, vero? Meglio che mi seguiate con attenzione. E adesso torniamo a occuparci di quel brutto complemento oggetto.
La signorina Boltz osservò, con calma: – Mi sembra che vada un po’ fuori argomento.
Stewart spense il televisore. – Il suo Trendex non rimarrà alto per molto tempo – disse. – Appena gli allievi si accorgeranno che non ha la minima intenzione di sfilarsi il reggiseno... Passiamo a quest’altro. Quarto anno di inglese. Stavolta è un professore. Trendex 45.
L’insegnante era un giovanotto di bella presenza, dall’aria sveglia, che si esibì in una serie di imitazioni, e tenne il gesso in equilibrio sul naso. Successivamente passò alla lettura dell’opera “Gualdrappe e pistole” che lesse molto bene, sostenendo successivamente le varie parti, curvandosi dietro la cattedra, fingendo di puntare una pistola immaginaria contro la telecamera, e dando vita a un’interpretazione efficace.
– Ai ragazzi piacerà – disse Stewart. – Può resistere abbastanza bene. E ora vediamo se c’è qualcun altro.
C’era un’insegnante di storia, una donna giovane, dall’aria tranquilla, dotata di notevole talento artistico. Questa insegnante schizzava con rapidità straordinaria caricature su caricature, e teneva desta l’attenzione degli spettatori con una conversazione brillantissima. Successivamente passarono all’ora d’economia, dove l’insegnante faceva continui giochi di prestigio, e infine osservarono due professoresse che si servivano più o meno degli stessi mezzi della signorina McMillan, ma erano scarsamente dotate, e, di conseguenza, il loro Trendex era considerevolmente più basso (pp. 22-23).
Va tenuto presente che nella traduzione si parla di classi “quarte” o “quinte”, ma che gli studenti corrispondenti sono ovviamente quindici-sedicenni... il testo originale del racconto, leggibile in un’edizione del 1976 attraverso Google Books, parla infatti di “decima” o “undicesima classe”: la traduttrice probabilmente ha fatto un’equivalenza con il sistema italiano, ricominciando il conto dopo le prime cinque classi della scuole elementare, ma non ha inserito alcun chiarimento e i numeri spesso non sono tradotti neanche secondo questo criterio. A ogni buon conto, la lezione d’inglese in originale (classe undicesima... cioè, da noi, terzo anno di scuola superiore) faceva così: “This is called a sentence (…) The-man-ran-down-the-street. ‘Ran down the street’ is what the man did. We call that the predicate. Funny word, isn’t it?” (p. 11).
La professoressa Boltz in effetti scopre rapidamente, al suo rientro, che sulla Terra ormai l’approccio didattico è quello della Scuola nuova, la quale si basa sull’insegnamento a distanza, attraverso la televisione, e:
segue questi principi: l’allievo deve essere esposto all’insegnamento che gli si vuole impartire. L’esposizione, chiamiamola così, deve avvenire a cosa dell’allievo, nell’ambiente che più gli è consono (…). Oltre a questo, non possiamo pretendere altro da lui. (…) Insomma, si sta cercando di applicare all’insegnamento la tecnica che, usata nella pubblicità, ha ottenuto tanti buoni risultati. Suscitare l’attenzione della gente e indurla a comperare, anche se non ne ha l’intenzione. Nel nostro caso, attrarre l’attenzione dell’allievo e fare sì che impari anche se non ne ha voglia (pp. 18-19).
Le risposte della signorina Boltz sono basate, apparentemente, sull’importanza dell’esperienza di vita in comune, secondo la tradizione angloamericana: “Ma il ragazzo non si rende conto dei progressi che fa, e quindi non ha nessun incentivo a imparare... Ma così gli allievi non imparano a vivere con gli altri” (p. 19). E in effetti il racconto, un po’ incongruamente, passa poi a descrivere il graduale successo della signorina Boltz, che, un po’ raccontando delle sue esperienze su Marte, un po’ leggendo Dickens, raduna una piccola comunità di studenti in presenza.
Del resto, perché la scuola “comunitaria” individuata dalla signorina Boltz funzioni, non è necessario che coinvolga abilità o conoscenze di particolare peso intellettuale – la bravura sul campo da gioco o la capacità di esprimere “le proprie sensazioni” possono fornire materia prima più che sufficiente per “imparare a vivere con gli altri”. La signorina Boltz parte dal presupposto che la vita di classe porti necessariamente a studiare Shakespeare e la fisica, dopo che si è stabilito il contatto umano; spinta che esiste, senz’altro, ma che, come secondo me mostra la storia degli ultimi decenni, può essere facilmente diretta verso altri obiettivi. Uno dei personaggi della storia, l’avvocato Wallace, cita a un certo punto i problemi della Scuola Nuova, che non sembrano però molto diversi dai problemi della Scuola Vecchia:
non sappiamo ancora esattamente che conseguenze ne deriveranno. Il peggio, per il momento, è che i ragazzi non ricevono più nessuna educazione. Gli industriali devono ricominciare tutto da capo per formare il personale. Politicamente non so ancora quali saranno i riflessi, con un elettorato in grado di assimilare le varie nozioni in dosi minime, e per di più estremamente edulcorate (p. 32).
Va ricordato anche che l’autore, nell’introduzione all’antologia reperibile su Google Books, torna sui temi del racconto e dichiara di averlo scritto nel 1957 – periodo in cui, prima che la televisione si diffondesse davvero, gli allarmi educativi erano già stati lanciati negli USA per esempio da Rudolf Flesh con il suo notissimo Why Johnny can’t read. Insomma, come mostra l’esperienza quotidiana, è assai dubbio che la scuola in presenza di per sé e automaticamente significhi “educazione” (o “formazione”) di qualità, in assenza di qualcosa di diverso rispetto al semplice “imparare a vivere con gli altri”. Il problema non è così semplice, e il sistema scolastico di tutti i paesi rischia sempre di rimanere con il fianco scoperto di fronte a critiche di questo genere:
… un altro fattore determinante per l’adozione dei nuovi sistemi di insegnamento è il risparmio di denaro che essi comportano. Anziché avere migliaia di costosi edifici scolastici, è sufficiente un unico studio TV. Inoltre si risparmia sugli stipendi degli insegnanti, perché basta un insegnante per varie migliaia di studenti, anziché uno ogni trenta-quaranta allievi. I ragazzi intelligenti impareranno da soli, anche se l’insegnamento è insufficiente, e d’altronde la nostra civiltà non esige di più: pochi elementi ben preparati, in grado di costruire macchine efficienti (p. 20)
E del resto, nel mondo della Scuola Nuova, “Ci sono già le scuole private, e chi può ci manda già i propri figli. Gli altri, purtroppo, non sono in grado di pagare” (p. 27). Anche se sono meno drastici nell’applicazione, il modello americano classico e le proposte italiane sull’“eccellenza” non si trovano troppo lontano da questo orizzonte d’idee.
Insomma, il racconto è una buona occasione per ricordare che dal dopoguerra a oggi, nei paesi più sviluppati, questioni del genere tornano fuori con regolarità.
Non resisto infine alla tentazione di riportare due citazioni che suonano simpaticamente (?) profetiche. Una sul lavoro dei docenti:
– Mi pare che vostro nipote abbia lavorato troppo e soffra di esaurimento.
– I professori giovani [il riferimento all’età manca nell’originale] non hanno un contratto come il vostro – disse Pargrin – e possono essere licenziati in tronco. Lyle ha intenzione di passare all’industria l’anno prossimo, e non gli sarà facile trovare un posto (p. 20).
E una sul problema della multimedialità applicata alle diverse materie:
A questo punto decise di procurarsi in libreria dei manuali per l’insegnamento alla TV. Purtroppo i testi erano ricchi di esempi per gli insegnamenti di per sé adatti ad una presentazione visiva, ma per quanto riguardava l’inglese non erano certo di grande aiuto (p. 25).
In effetti... Nulla di nuovo, da questo punto di vista: i supporti visivi aiutano, ehm, quando si deve parlare di cose visibili o visualizzabili.
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