Sempre dal libro di Twitchett di cui ho già parlato, è interessante vedere alcuni paralleli tra le pratiche della Cina medievale e quelle della Cina contemporanea. Un capitolo (beh, tre pagine: 60-62) di notevole interesse è dedicato per esempio al rapporto tra The state and printing. La sintesi dell’autore è che, di fronte a una “enormous proliferation” di libri a stampa, durante la dinastia Sung (oggi di solito chiamata “Song”: 960-1279) il governo cinese fece “constant efforts to regulate publication”. In particolare:
The state attempted to maintain its own monopoly in some categories of literature. Calendars and astronomical o astrological charts, whose possession had been forbidden to commoners in the law codes since the seventh century, but for which nevertheless there was a brisk demand, were in Sung times printed by government agencies and sold at fixed prices, heavy penalties being imposed on private printers. Collections of state documents and legal works printed by private publishers were also repeatedly forbidden, but the prohibitions proved ineffective. National histories were also a government monopoly and strict laws forbade their export to neighbouring states whose rulers might use them as a source of intelligence.
Tuttavia, questi divieti si rivelavano regolarmente inefficaci, così come lo erano quelli contro l’esportazione di libri o quelli che tentavano di regolare la stampa di manuali per gli esami imperiali (incluse le “miniature editions that could easily be smuggled into the examination halls”).
D’altro canto, altri tipi di libro erano “strictly censored”. Per esempio, i testi taoisti, buddisti e manichei non ortodossi, ma anche le opere politiche di critica al governo, o quelle che potevano presentare informazioni militari sensibili, soprattutto riguarda alla difesa dei confini. Il primo editto formale sulla censura risale al 1009, mentre nel 1090 “the court issued a full set of regulations on the printing and circulation of books”, che in teoria prevedeva uno stretto controllo dei manoscritti destinati alla stampa. Tra il 1195 e il 1201 queste regole “were codified in a set of laws which allowed censorship not only for unorthodox ideas, but even on the grounds of unacceptable style”. I certificati di autorizzazione potevano poi includere informazioni molto precise sul numero di parole di cui era composto il testo, il numero di blocchi da usare nella stampa e il prezzo di vendita al dettaglio. Le continuità con il presente non sembrano poche…
Dal punto di vista tecnico, il controllo statale era facilitato dal fatto che, almeno per alcune opere, gli editori lavoravano usando matrici di proprietà del governo, conservate presso archivi appositi. Ma d’altra parte, aggiungo io, probabilmente il controllo era poco efficace anche perché la stampa cinese non richiedeva le costose e ingombranti attrezzature richieste dalla stampa occidentale.
D’altra parte, secondo Twitchett “the official imprimatur gradually developed ino a concept of the author’s and publisher’s rights in a book… the first book including a claim to copyright under government protection was printed in Szechwan between 1190 and 1194”. Ecco la riproduzione relativa, con la traduzione di Twitchett (p. 63):
Simili al meccanismo dei privilegi europei, dichiarazioni del genere a volte tutelavano anche l’autore contro “unauthorized abridgements and alterations of his text”. Rimasero rare in età Song, ma “the primitive idea of copyright survived into the Mongol period, though probably without the forse of law”. Tuttavia:
Copyright proved impossible to enforce, and during the Ming (1368-1644) the very concept disappeared, together with the practice of reviewing books before granting permission to publish. It was not to appear in China again until 1910, and even since then its status has proved very unsure.
In effetti, come può constatare chiunque giri per un mercato cinese (non troppo dissimile da un mercato italiano di qualche anno fa, del resto), le direttive contro la contraffazione sembrano ancora oggi emanate più che applicate – anche per il mercato interno:
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