Sto facendo gli ultimi bagagli per il rientro (devo partire per l’aeroporto nel giro di dieci minuti…), ma ieri almeno sono riuscito ad andare a Macao e concludere in bellezza il mio soggiorno.
Beh, “in bellezza” forse è eccessivo: Macao è stata sommersa negli ultimi anni da cemento, alberghi a tema, casinò e grattacieli; tutte cose che a loro volta sono il prodotto della presenza di un’infinità di turisti cinesi. A differenza di Giacarta, qui un discreto centro storico è rimasto, ma non c’è molta speranza di atmosfere da Europa meridionale, caffè e tavolini all’aperto. Diciamo che il centro storico ha più o meno l’aspetto che avrebbe Corso Italia a Pisa se alla sua estremità sud si aprisse, per una strana contorsione della geografia, una fermata della metropolitana di Guangzhou. Per di più, tra alberi di Natale e sotto un sole estivo-tropicaleggiante:
Non sono rimasto troppo impressionato nemmeno dal monumento più famoso di Macao, la facciata barocca della chiesa di San Paolo. Carina, d’accordo, e con qualche tocco cinese-gesuitico (tipo il dragone dell’Apocalisse in facciata, con un po’ di caratteri cinesi di contorno), ma non poi così straordinaria. Anche se fotografata da un milione di turisti al giorno, penso.
Molto meglio la Fortaleza do Monte, subito sopra. Che è anche lo sfondo di uno dei miei episodi storici preferiti, da queste parti, raccontato anche da Carlo Maria Cipolla in Vele e cannoni… quello in cui nel 1622 il gesuita milanese Giovanni da Rho divenne il “Salvatore di Macao”, sbaragliando quasi da solo la forza d’invasione olandese che cercava di prendere la città. Meccanico e matematico, Giovanni da Rho aveva preso con scrupolo, pare, le distanze di tiro. E quando il carro che portava le munizioni olandesi passò davanti a una fontana che serviva da punto di riferimento, il prudente gesuita tirò la sua cannonata e lo fece saltare in aria, assieme a buona parte della colonna nemica. I cannoni in esposizione sulla Fortaleza sono ovviamente molto più tardi (anche se che alcuni cannoni fusi dai gesuiti a inizio Seicento furono impiegati dall’esercito cinese ancora durante la prima guerra dell’oppio, a metà Ottocento), ma l’atmosfera è quella – a parte i grattacieli di sfondo, cioè:
La fortezza contiene oggi anche un discreto museo divulgativo; e al momento, anche una notevole mostra sulla cartografia cinese realizzata da un altro gesuita di inizio Seicento, Michele Ruggieri. I materiali sono in buona parte prestati dall’archivio di stato di Roma, ed è stata una bellissima rimpatriata.
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