venerdì 1 aprile 2011

Moriranno tutti. Anzi, forse no

In questi giorni tengo d'occhio le notizie sui problemi ai reattori nucleari di Fukushima. Per vari motivi, ma in buona parte perché i servizi giornalistici su questi argomenti sono spesso, purtroppo, esempi da manuale di come non si fa buona informazione.

Un esempio quasi perfetto lo fornisce l'edizione online di oggi del Corriere della sera, che presenta in discreta evidenza questi titoli (guardare per credere):

Titolone: I 300 di Fukushima: «Moriremo tutti»

Occhiello: ma hanno deciso di continuare tutti a compiere il loro dovere

Sottotitolo: I tecnici, soldati, ingegneri e pompieri che lavorano alla centrale sono tutti convinti di morire per le radiazioni

Leggendoli, sono sobbalzato. In base a quel che si sa, i problemi ai reattori non hanno prodotto alcuna conseguenza sulla salute di chiunque si trovasse all'esterno dell'impianto, e chi lavora all'interno lo fa in condizioni controllate. Non in sicurezza perfetta, purtroppo - pochi giorni fa, due lavoratori hanno ricevuto un irraggiamento pericoloso ai piedi, e in generale i livelli di radioattività a cui i lavoratori sono esposti hanno superato in 19 casi, anche se non di molto, la soglia dei 100 millisievert (al di sotto di questa soglia non si riesce a rilevare una correlazione significativa tra l'esposizione alle radiazioni e l'insorgenza di tumori).

Questo non vuol dire che siano tutti condannati a una fine rapida e terribile: vuol dire, alle dosi conosciute, che c'è il rischio - non la certezza - che, andando a riesaminare le loro storie mediche tra qualche decina di anni, si noti che l'incidenza di tumori tra le persone che hanno lavorato alla centrale è un po' più alta di quella che ci si potrebbe aspettare da un gruppo di controllo con pari caratteristiche. Un rischio basso, ma che per essere affrontato richiede senz'altro un notevole coraggio e una dedizione di cui non si può che essere grati.

Basso quanto? In questo settore è molto difficile arrivare a conclusioni indubitabili, ma qualche paragone si può fare con l'incidente di Chernobyl del 1986. In questo caso, le conseguenze sulla popolazione sono molto difficili da valutare, e forse inesistenti (conclusione da prendere con molta cautela, com'è ovvio), ma il caso dei lavoratori esposti immediatamente al grosso delle radiazioni è più facile da seguire. Non si tratta di un caso del tutto sovrapponibile a quello di Fukushima, perché a Chernobyl l'esposizione è stata molto più forte ed è stata ricevuta in assenza di adeguate precauzioni, ma proprio per questo il confronto risulta illuminante.

Secondo il rapporto UNSCEAR del 2011, quindi, subito dopo l'incidente 137 dipendenti dell'impianto e soccorritori vennero ricoverati per avvelenamento da radiazioni - con esposizione molto superiore a quella che oggi ricevono i lavoratori di Fukushima, di cui solo due sono stati ricoverati per un problema simile, ma causato da dosi molto inferiori. Dei 137 ricoverati, 28 morirono nei mesi immediatamente successivi, come succede per l'esposizione a dosi molto alte di radiazioni; gli altri, 25 anni dopo, pur essendo stati esposti a dosi decine o centinaia di volte superiori a quelle dei lavoratori di Fukushima, sono ancora quasi tutti vivi (nel frattempo ne sono morti altri 19, per varie cause spesso non collegabili in nessun modo alle radiazioni). Certo, le conseguenze di un'esposizione a radiazioni sono variate e imprevedibili, e non sono univocamente collegate alla dose assorbita, ma non sembra proprio che Fukushima possa diventare una perfetta macchina di morte.

Come mai allora i lavoratori giapponesi, presumibilmente ben informati della situazione, sono convinti di dover morire tutti per le conseguenze delle radiazioni? Una possibilità, naturalmente, è che sappiano qualcosa che il pubblico non sa, e che contraddice tutte le informazioni a oggi note . C'è però una possibilità alternativa più semplice: che la notizia sia, banalmente, falsa. E basta leggere il testo del miniarticolo per capire che in effetti, sì, il titolo è falso anche in rapporto al contenuto dell'articolo stesso.

L'articolo intanto traduce solo (e, per fortuna, lo dichiara: spesso non succede neanche questo) alcune informazioni pubblicate dal quotidiano inglese The Telegraph, che riporta la notizia in toni molto simili. Leggendo il testo, si scopre l'inghippo. Chi dice che i lavoratori "sono tutti convinti di morire per le radiazioni" (ciò che dichiara, letteralmente, il Corriere)? Risposta: nessuno. È la madre di uno di loro che:

has admitted that the group have discussed their situation and have accepted that death is a strong possibility.

Cioè, secondo la madre, i lavoratori si dichiarano disposti a morire "if necessary", come viene detto subito dopo, e ritengono che ci sia non una certezza, ma "una forte possibilità di morte". Cosa anche vera, per opportuni valori di "forte": dando per scontato che l'informazione di partenza sia vera, le ambiguità del linguaggio naturale, le incertezze della comunicazione figlio-madre e la traduzione dal giapponese all'inglese rendono priva di significato ogni speculazione più precisa. Per me, per esempio, anche solo una possibilità su mille è "una forte possibilità di morte", e mi rifiuterei categoricamente di svolgere una qualsiasi attività che comportasse un rischio del genere e non fosse indispensabile per salvare la vita a qualcuno. Però, su trecento persone, significa grosso modo che c'è solo una possibilità su tre che una di loro muoia (e due possibilità su tre che non succeda nulla a nessuno).

Insomma, anche in questo caso il giornalismo su Fukushima, sia quello originale che quello dei traduttori della "redazione online", non fa una bella figura. D'altra parte, chi mai leggerebbe un articolo intitolato "I lavoratori di Fukushima hanno riflettuto sul rischio di morte da radiazioni, e sanno che un qualche rischio c'è, e la madre di uno di loro dice che il rischio è forte"? Meglio sbattere nella home del principale quotidiano italiano un interessante Moriremo tutti. Senza curarsi troppo del fatto che l'informazione sia smaccatamente falsa.

3 commenti:

Yupa ha detto...

Personalmente credo si possa fare un titolo a effetto e "vendibile" anche mantenendo una buona aderenza ai fatti.
Esempî che mi vengono in mente per questo caso:
- La paura dei 300 di Fukushima
- Fukushima: le parole di una madre.
- I tecnici di Fukushima, tra coraggio e paura
- Fukushima: il coraggio vince la paura
eccetera eccetera

Credo che certe scelte siano dovute sia a scelte politiche che a pigrizia giornalistica.

Mirko Tavosanis ha detto...

Sì, sono d'accordo...

Anonimo ha detto...

Sono orgoglioso che ci sia qualcuno come te, che impieghi parte del suo tempo per far riflettere su quanto sia cattiva l'informazione in Italia e nel resto del mondo, con particolare riferimento alla tragedia di Fukushima.
Firmato: un italiano in Giappone.

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