Negli ultimi giorni ho letto un paio di documenti americani interessanti sulla comunicazione in ufficio. Il primo, il più formale, è il rapporto su How college graduates solve information problems once they are in the workplace, pubblicato il 16 ottobre 2012 all’interno del Project Information Literacy e firmato da Alison J. Head. La ricerca su cui il lavoro si basa parte, come al solito, da un campione molto ridotto (23 datori di lavoro e 33 studenti), ma sospetto che giunga a conclusioni ragionevoli.
Sintesi: oggi i laureati sono molto bravi a fare ricerche online, ma rispetto ai predecessori mostrano una capacità molto più scarsa nel trovare informazioni “thumbing through bound reports, picking up the telephone, and interpreting research results with team members” (p. 1). La cosa è interessante, anche perché le ricerche di solito si concentrano sul mostrare le capacità aggiuntive che hanno i giovani rispetto alle generazioni precedenti, non su quelle eventualmente perse.
Per me sarebbe poi stata particolarmente importante scoprire che l’esame della documentazione stampata tradizionale (“bound reports”) da un lato è ancora fondamentale nel mondo del lavoro, dall’altro è tanto poco intuitivo che i giovani allenati a base di Google non riescono a farlo e sono svantaggiati per questo. Ahimè, il rapporto mette questo aspetto in evidenza, ma poi nella pratica fa capire tra le righe che questo è un discorso accessorio. Il punto importante, quello di cui si lamentano i datori di lavoro, è assai più tradizionale: i giovani non riescono a parlare con i colleghi e a scambiarsi informazioni a voce.
A differenza della comunicazione elettronica, questa non è una novità. Da sempre gli studi sul mondo del lavoro hanno mostrato che nel settore dei servizi la capacità di comunicare bene con l’interno e con l’esterno è, secondo i datori di lavoro, addirittura più importante delle stesse conoscenze disciplinari. Realtà che in Italia si tende a ignorare, ma che penso che spieghi bene il motivo per cui i laureati in Lettere, checché se ne dica, continuano anche da noi a non cavarsela male nel mondo del lavoro anche se non finiscono a fare gli insegnanti. In questo rapporto viene tra l’altro doverosamente presentata una scala delle dieci qualità più importanti che devono avere i candidati a un lavoro (inchiesta NACE, p. 9) e, anche se un po’ mi dispiace che lì la “Ability to create and/or edit written reports” venga piazzata solo al nono posto, la “Ability to verbally communicate with people inside and outside the organization” è addirittura al secondo posto, subito dopo la capacità di lavorare in squadra, più in alto anche di capacità strettamente intrecciate con la scrittura come quella “to plan, organize and prioritize work” (le conoscenze disciplinari sono al settimo...).
Un documento molto diverso nello stile, ma vicino a questo nelle conclusioni, è il Valve handbook for new employees 2012, realizzato dalla ben nota casa produttrice di videogiochi (famosa soprattutto per Half-life e per la piattaforma Steam). Il manuale è un perfetto esempio di scrittura “alternativa”, popolare più in America che da noi: invece di essere un pretenzioso documento interno è una lista di suggerimenti ironici su come lavorare in un posto che si vanta di non avere una gerarchia formale, con capi, sottocapi e responsabili, ma in cui ognuno è responsabile di quello che fa e viene giudicato fondamentalmente dai colleghi.
In un ambiente del genere la comunicazione è affidata soprattutto ai contatti individuali. O, come dice il testo (p. 9), per avere informazioni sulle attività in corso “There are lists of stuff, like current projects, but by far the best way to find out is to ask people”. La fig. 2-4 di p. 22 elenca i metodi in dettaglio:
Ovviamente io sono un po’ scettico rispetto alla corrispondenza tra ciò che viene descritto qui e ciò che avviene nella realtà. Tuttavia, avendo accumulato ormai un filino di esperienza su come vanno le cose nelle organizzazioni, non ho nessun dubbio sul fatto che la comunicazione personale sia un elemento chiave. Le mie simpatie linguistiche vanno, è ovvio, soprattutto alla scrittura, ma so anche bene che per alcuni compiti l’efficienza di uno scambio a voce non ha uguali. Più in dettaglio, sono convinto, da un lato, che una delle sfide organizzative più grandi sia quella di creare una struttura in cui la gente si parla (arte in cui gli americani sono maestri); e, dall’altro, che la parte più produttiva di molte delle mie giornate standard sia quella passata con i colleghi al bar, davanti a un marocchino appena ricoperto di polvere di cacao.
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