Riordinando la libreria, mi è cascato l'occhio sulla Relazione della China di Magalotti, che ho comprato verso il 1988 o giù di lì (dentro c'era un biglietto ferroviario Pisa-Viareggio: 1.400 lire).
Col senno di poi, è interessante il discorso che Magalotti fa sull'inferiorità della scrittura cinese: tema classico del Seicento, come si vede anche dai libri di Harris: "... il peggio è che non hanno caratteri né alfabeto e tutto esprimono con cifre, delle quali non solamente ogni parola ha la sua, ma moltissimi accoppiamenti di due e tre parole e moltissimi sentimenti e periodi interi hanno le loro. Quindi è che quelle cinque cose che si esprimono con la voce ciu variamente aspirata, per la mancanza dell'alfabeto convien loro scriverle con cinque cifre diverse, dove noi per via di varie segnature d'accenti (che le medesime servirebbono ad altre voci che andassero similmente accentate) a bastanza le distingueremmo, benché la scrittura fosse sempre l'istessa, cioè ciu." In realtà le cose non funzionano proprio così! E la rappresentazione dei toni cinesi è un problema non da poco negli schemi di romanizzazione.
Auguri di “buon ponte” al gatto defunto
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Una notiziola dalla provincia italiana con lo zampino dell’inglese
2 giorni fa