martedì 18 giugno 2019

Perché un Laboratorio

 
Anche per l’anno prossimo terrò un Laboratorio di scrittura. Nell’anno accademico 2019-2020, nel secondo semestre, sarò di nuovo (incrociando le dita!) il docente del Laboratorio di scrittura per gli studenti del I anno del corso di laurea triennale in Informatica umanistica dell’Università di Pisa. Spero di replicare anche in questa occasione l’attività in corso adesso: scrivere voci di Wikipedia in lingua italiana. E chi volesse avere un’idea dettagliata delle voci che vengono realizzate proprio in questi giorni con il corso attuale, può dare un’occhiata al Tavolo di lavoro che presenta in dettaglio lo stato delle cose.
 
Il Laboratorio sarà una parte delle mie attività didattiche istituzionali, obbligatorie per i docenti universitari (terrò anche un corso di Linguistica italiana II per la laurea magistrale in Informatica umanistica, e mi occuperò di una parte del corso di Linguistica italiana per la triennale). A prima vista quindi non c’è niente di strano nel farlo. Però, parlando con i colleghi, negli ultimi mesi mi sono trovato a dover difendere la mia scelta, che al momento di fare la programmazione didattica si è presentata in forma di alternativa secca: per la triennale, insegnare nel Laboratorio di scrittura o nel corso di Linguistica italiana?
 
Alcune obiezioni sono state presentate in forma molto cortese e gentile. In particolare, perché non tenere piuttosto il corso di Linguistica italiana, che è più prestigioso? Io mi sono dato da tempo una risposta privata, ma credo sia opportuno articolarla anche in pubblico.
 
Innanzitutto: sono stupido, a fare questa scelta? Secondo molti, un Laboratorio di scrittura, come tutte le attività didattiche di questo genere, ha poco prestigio; i laboratori di scrittura, in generale, sono affidati a personale a contratto, giovani che hanno preso da poco il dottorato o anche solo la laurea, e che sono disposti a fare un lavoro ritenuto meccanico e poco rilevante; i corsi “veri” sono, agli occhi di molti, unicamente i corsi teorici; e così via.
 
Io però non sono sicuro che un atteggiamento del genere sia così diffuso. Il prezioso Annuario dell’Associazione per la storia della lingua italiana (ASLI) presenta anche i corsi tenuti dai soci, e basta scorrerlo per vedere che molti Laboratori sono tenuti da docenti di indubitabile profilo scientifico, anche a livello di professore ordinario. Mi sembra che sia quindi diffusa la consapevolezza che un corso deve essere giudicato dal merito, non dal titolo.
 
Ciò non vuol dire che l’atteggiamento che ho descritto sopra non esista. È perfettamente possibile che alcune delle persone che leggeranno il mio curriculum in futuro, per concorsi o altro, possano storcere il naso o considerare queste attività, in quanto tali e senza guardare al merito, come segno di un profilo scientifico inferiore. Questo sarebbe un danno per me… ma pazienza. Credo che ne valga la pena, e che invece non valga la pena preoccuparsi di pregiudizi infondati.
 
D’accordo, ma perché dovrebbe valerne la pena? Perché correre anche solo il rischio, quando la scelta alternativa sarebbe del tutto sicura? Una risposta a questa domanda potrebbe essere, per esempio, la pigrizia. Tenere un corso di Laboratorio potrebbe essere più facile: forse perché richiede meno tempo, meno sforzo e meno rigore intellettuale.
 
Per quanto riguarda il “meno tempo” e il “meno sforzo” posso mostrare su basi oggettive che non è così. Un Laboratorio richiede un’interazione più stretta con gli studenti rispetto a quelli che vengono definiti i corsi “frontali” puri, in cui il docente sta in cattedra e si rivolge al pubblico, e in cui l’esame finale è costituito da un test a scelta multipla o di una conversazione di mezz’ora o giù di lì con ogni studente. Nel mio caso, ho calcolato da tempo che la sola verifica finale richieda in media due ore a studente. Dati i numeri coinvolti, è un lavoro enorme – e che per diversi anni, in passato, ha molto limitato le mie attività per buona parte dell’anno.
 
Meno quantificabile è invece il rigore intellettuale. Tanto un corso quanto un laboratorio possono essere fatti in modo meccanico o in modo creativo; possono essere nuovi ogni anno, o ripetere pari pari i contenuti dell’anno precedente; possono essere aggiornati alle ultime scoperte oppure no. Dal lato mio, mi sembra che l’impegno che ho messo nel Laboratorio da questo punto di vista sia come minimo pari alla media dei corsi tradizionali che tengo e ho tenuto in passato… ma questo (a differenza delle ore di interazione) è difficile da valutare.
 
In sintesi, magari mi autoinganno, ma non ho mai pensato, nemmeno per una frazione di secondo, che fare un laboratorio possa essere un risparmio di tempo e di energie, a nessun livello.
 
Ma allora, come razionalizzare la scelta? Tenere il Laboratorio significa fare più lavoro in cambio (forse) di meno prestigio; è quindi un atto di autolesionismo? Nell’ultima edizione è stata scritta anche una voce di Wikipedia sulla tricotillomania, una forma di autolesionismo classificata dall’OMS come disturbo mentale. Correggendola mi chiedevo: non è che anche il fare laboratori di scrittura, quando non si è costretti a farli, dovrebbe essere considerato un disturbo mentale?
 
Di nuovo: un parere esterno sarebbe utile, ma non credo proprio che la spiegazione sia questa. A me il corso piace. E soprattutto, tenendolo, posso lavorare su un’area per me chiave e di ampia portata: le competenze di scrittura degli studenti che arrivano all’Università. Potrei valutarle in tanti altri modi, certo… ma passare ore a rivedere i loro scritti, a discutere con loro gli interventi, a cercare in generale di migliorare il risultato mi sembra uno dei modi migliori per farlo. Credo anzi che questa attività, ripetuta per anni, mi abbia dato una conoscenza di questi meccanismi molto diversa rispetto a quella che si può avere da altre prospettive.
 
Riuscirò a trasformare questo lavoro in qualcosa di livello superiore? Ci sto provando da tempo, con diverse angolazioni. Non so se ci riuscirò: il lavoro che ho in mente è molto diverso da quelli che si fanno di solito nelle università italiane, e non è detto che alla fine vada in porto, o che i risultati siano tali da giustificare lo sforzo. Però a me sembra di sì, e sono disposto a sacrificare molti lavori tradizionali per dedicare le mie energie a questo.
 
A scanso di equivoci: anche insegnare Linguistica italiana sarebbe stato bellissimo. Nel settore si può fare, e molti colleghi fanno, un lavoro splendido, su uno dei temi più interessanti che si possano immaginare (forse sono un po’ di parte, lo ammetto!). Però, visto che non si può fare tutto, credo che la scelta migliore sia dedicarmi appunto al Laboratorio. Migliore per me, di sicuro. Migliore per i miei studenti… lo spero, ma devono essere loro a dirlo! E migliore per la ricerca scientifica, se riuscirò a tirare le fila del lavoro e ricavarne quello che spero – che è comunque sempre un’incognita.
 
Aggiungo un’ultima cosa, per sintetizzare i risultati del Laboratorio. Io sento e leggo molti docenti, anche nelle materie umanistiche, lamentarsi (a volte in forma caricaturale) delle scarse capacità di scrittura e di espressione degli studenti. Io, lavorando a stretto contatto con loro e con i testi, non vedo nulla del genere. Vedo studenti che arrivano al I anno di università con una discreta padronanza media dell’italiano scritto, poca conoscenza dei principi della scrittura scientifica (com’è ovvio, visto che a scuola, con poche eccezioni, non si fa), ma anche molti interessi e una rapida capacità di assimilazione. Al termine del Laboratorio, indipendentemente dal percorso di partenza, ognuno di loro avrà scritto come minimo un’accettabile voce di enciclopedia su un argomento a propria scelta. In alcuni casi sarà stato un percorso facile, in altri decisamente più faticoso. A me però sembra che ognuno di loro compia in questo modo un passo importante sulla strada di una cittadinanza consapevole nella società di oggi; poter essere al loro fianco in questo percorso si è rivelato, negli anni, una fonte profonda, e difficilmente sostituibile, di soddisfazione personale.
 
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