Il bello della linguistica è anche questo: leggere frasi come “gli italofoni nel mondo sono circa 4.000.000, contro i 60.000.000 generalmente indicati”. In quali altre discipline si possono trovare oscillazioni di più di un ordine di grandezza, su fatti che sono sotto gli occhi di tutti? Immagino un po’ di esempi nel settore della geografia umana: “gli abitanti della Cina sono solo cento milioni, contro il miliardo e trecento milioni generalmente indicato”; “il reddito medio negli Stati Uniti è di quattromila dollari l’anno, inferiore a quello dell’Egitto”; “il più importante paese produttore di petrolio è l’Angola”; eccetera.
Bene, la frase riportata sopra viene dalla p. 14 di un interessante libro di Barbara Turchetta, Il mondo in italiano: varietà e usi internazionali della lingua (Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. VI + 158, € 16, ISBN 88-420-7706-2). Ho già citato il libro poche settimane fa per parlare appunto della conoscenza dell’italiano all’estero; vale però la pena di dire qualche parola di più.
In questo caso, il libro offre in realtà un po’ meno di quanto promesso dal titolo. Soprattutto perché è un testo sintetico: 158 pagine per affrontare un argomento molto vasto. Il punto di forza del testo è dato peraltro propriodal suo sbilanciamento. Più di un terzo delle sue pagine (66 su 158) è occupato dai due capitoli centrali, che non sono stati scritti dall’autrice principale:
Cap. 2, L’italiano lingua ufficiale e di lavoro nelle istituzioni comunitarie (pp. 41-71), di Elisa Ranucci, che descrive in dettaglio la situazione dell’italiano dal punto di vista della traduzione e dell’interpretariato a Bruxelles e Strasburgo
Cap. 3, L’italiano lingua della legislazione europea (pp. 73-106), di Laura Mori, che descrive le caratteristiche linguistiche collegate a questo uso, confrontando la situazione italiana con quella dell’Unione Europea e della Svizzera
Entrambi i capitoli sono interessantissimi, ma alla descrizione generale rimane relativamente poco spazio. Pazienza: i dati forniti dal libro sono comunque uno dei pochi tentativi di sintesi sull’argomento. In parte le informazioni possono basarsi sulle acquisizioni dello studio Italiano 2000, a cura di Tullio De Mauro, pubblicato nel 2002, ma in buona parte sono sintesi originali e utili.
Il titolo del primo capitolo, L’italiano lingua seconda in Europa e nel mondo, è peraltro fuorviante. Il capitolo è infatti dedicato per buona parte a descrivere il ruolo dell’italiano come lingua “materna” (usiamo questa semplificazione, per il momento) all’estero, in particolare nelle comunità di emigrati, e le competenze come L2 vengono trattate assieme a quelle come L1. Credo sia necessario tornare sopra ad alcuni aspetti di queste stime, e in particolare sul fatto che la stima generale del numero degli italofoni, punto di partenza di questa sintesi, viene generata in base a un unico dato, senza tener conto di ciò che viene detto nelle pagine successive. Segnalo però, soprattutto, che nel 2011 è uscita, a cura di Massimo Vedovelli, la corposa Storia linguistica dell’emigrazione italiana (Roma, Carocci), che presenta molte informazioni aggiuntive sulle singole situazioni.
Il quarto capitolo, Gli stranieri e la nostra lingua, è ancora più interessante. L’italiano è una lingua molto studiata all’estero (la quarta o la quinta lingua straniera più studiata in contesti formali, a seconda delle stime). Tutto questo studio, però, produce effetti? Turchetta cita (p. 121) i dati di un sondaggio Eurobarometro del 2000, in base al quale si stima che il 3% degli europei non-italiani conosca l’italiano (contro il 41% di quelli che, non essendo cittadini di paesi di lingua inglese, conoscono l’inglese), presumibilmente imparato in buona parte attraverso il turismo e lo studio scolastico. L’Unione Europea ha circa 500 milioni di abitanti, e questo significherebbe che 15 milioni di non-italiani conoscono l’italiano. Non è chiaro se da questi andrebbero sottratti o meno i 2 milioni di cittadini italiani residenti in altri paesi dell’Unione Europea, ma anche togliendoli si arriva alla rispettabile cifra di 13 milioni di persone.
Possibile? Forse. Sospetto che questi sistemi di rilevazione producano stime gonfiatissime – e per esempio, per alcuni dati di Eurobarometro sull’uso di Internet, in passato ho visto per esempio stime che erano sicuramente superiori di un ordine di grandezza rispetto alla situazione ricostruibile attraverso altre fonti (). Però in questo caso non ci sono dati diversi, o più affidabili: prendiamo quindi per buona la cifra, tenendo presente che verosimilmente le analisi future non potranno che ridimensionarla.
Al di fuori dell’Unione Europea, le stime sulla conoscenza dell’italiano non esistono. Si può però ritenere che l’apprendimento attraverso lo studio o il turismo sia minimo: due o tre milioni di persone che abbiano appreso l’italiano attraverso questo canale mi sembrerebbero già tantissime!
A completare il quadro manca però, vistosamente, un capitolo: quello sull’italiano degli immigrati. Che di recente sono stati presenti sul suolo italiano a milioni, per poi fare ritorno, di regola, nei paesi d’origine. Quanti di loro hanno imparato l’italiano e ne hanno conservato in qualche misura la conoscenza? Non molti, forse, ma l’Italia non vuole sapere molto sul modo in cui gli immigrati imparano l’italiano e poi continuano a usarlo. Le forze politiche che spingono contro l’integrazione degli immigrati hanno un peso tale che perfino i tentativi di insegnare la lingua agli stranieri incontrano spesso opposizione basata sul terrore che i neo-italofoni possano decidere di stabilirsi in Italia. Mancano quindi le risorse per la didattica, figurarsi quelle per incoraggiare gli immigrati che rientrano a mantenere un contatto con l’italiano… una situazione che per esempio è stata descritta per il Marocco in un recente articolo di giornale di Claudio Giunta. Dal punto di vista della ricerca: argomenti interessantissimi da studiare, scoperte interessanti da fare. Dal punto di vista umano e di sistema, forse un’occasione persa.