Uno dei motivi per cui i libri hanno un ruolo difficile da sostituire è la presentazione di situazioni complesse, in cui anche i dettagli di quanto accade nelle fasi precedenti contribuiscono a spiegare gli esiti delle fasi successive. Adults in the Room racconta appunto una storia complessa e che si vede meglio in retrospettiva, quando le cose si sono chiarite. Al tempo stesso, la storia è relativamente compatta, perché descrive soprattutto il periodo di Yanis Varoufakis come ministro delle finanze del primo governo Tsipras, in Grecia, dal 28 gennaio al 6 luglio 2015: un momento chiave nella politica europea contemporanea.
Le Storie di Erodoto cominciano nel mezzo delle cose, in un modo che le convenzioni di scrittura dei millenni successivi hanno abbandonato ma che a me è sempre piaciuto: “Περσέων μέν νυν οἱ λόγιοι Φοίνικας αἰτίους φασὶ γενέσθαι τῆς διαφορῆς”, “I saggi persiani dicono che causa della discordia sono stati i fenici”. Allo stesso modo, dice Varoufakis(pp. 23-27), alla base della crisi greca degli ultimi anni si trova una serie di prestiti concessi da banche francesi e tedesche al governo greco. Nel 2009, con la crisi globale, il governo greco si rivelò incapace di rimborsare i prestiti. La prima preoccupazione delle istituzioni europee fu allora di impedire l’azione più ragionevole, che sarebbe stata inevitabile in altre circostanze, cioè la dichiarazione di fallimento da parte della Grecia. Il fallimento avrebbe infatti comportato il mancato rimborso dei prestiti e ciò avrebbe a sua volta mandato in crisi le sovraesposte banche dell’Europa settentrionale. L’obiettivo europeo venne raggiunto con il classico giochino del “privatizzare i profitti, socializzare le perdite”: alla Grecia fu impedito di dichiarare il fallimento. Le istituzioni europee fornirono invece al paese, a condizioni capestro, un prestito con cui rimborsare le banche. Con questo piano, presentato come un generoso “salvataggio” (bailout), il carico venne spostato dalle spalle delle banche su quelle dei contribuenti europei e alla Grecia fu imposto un debito impossibile da ripagare. Il tutto, in violazione di diverse regole, fu gestito all’epoca da Nicholas Sarkozy in Francia, da Angela Merkel in Germania e da Dominic Strauss-Khan al FMI.
Con il bailout, i banchieri francesi e tedeschi, incapaci ma politicamente importanti, sono stati tirati fuori dal guaio in cui si erano cacciati da soli – o tutt’al più con l’aiuto dei governi greci di centrodestra, che per anni avevano truccato i conti (Varoufakis fa notare che anche l’Italia e la Germania hanno fatto la stessa cosa, solo che in quei casi il giochino non è uscito allo scoperto; sospetto però che nel caso greco i trucchi siano stati decisamente più numerosi).
Salvate le banche, la scelta fondamentale della troika è stata quella di non mettere in piedi nessun piano ragionevole di uscita della Grecia dalla crisi attraverso una rinegoziazione o cancellazione del debito. Alla Grecia sono stati invece concessi in più occasioni prestiti che hanno evitato la chiusura delle banche e l’uscita dall’euro ma che erano legati a condizioni capestro di austerità e di interventi sulle fasce più deboli della popolazione. Questo a sua volta – com’è ovvio – ha creato un circolo vizioso, devastando ulteriormente l’economia greca e rendendo sempre più difficile rimborsare i debiti. Varoufakis ha buon gioco a far notare, per esempio, che in un momento in cui una delle poche fonti di reddito per il paese era l’industria del turismo, le misure di austerità richiedevano di far pagare un’IVA del 23% ai turisti delle località greche collocate di fronte a corrispondenti località turche in cui l’IVA era del 7% (p. 437).
In questo contesto, Varoufakis descrive in modo molto chiaro il suo progetto come ministro delle finanze del governo di Syriza: rinegoziare il debito, cancellandone una parte o spostandone il rimborso a un futuro indefinito. In caso di rifiuto, la strategia obbligata per la Grecia sarebbe stata quella di uscire dall’euro. Che, dice Varoufakis a scanso di equivoci, per la Grecia sarebbe stata un disastro economico, ma meno grave delle assurde politiche di “rimborso” e austerità ancora in vigore.
Per spingere i creditori europei in questa direzione, Varoufakis contava da un lato sull’ovvia razionalità economica della proposta, dall’altro sul deterrente di cancellare unilateralmente una piccola parte di debito greco, quella dovuta alla Banca centrale europea. Quest’ultimo sarebbe stato un passo minimo dal punto di vista delle somme coinvolte, ma avrebbe reso legalmente impossibile la prosecuzione della fondamentale politica di Quantitative Easing della Banca centrale europea (pp. 93-94).
Il deterrente mi sembra meno credibile di quanto descritto nel libro, ma il resto delle idee di Varoufakis mi sembra assolutamente ragionevole. Si può discutere se il loro propugnatore le abbia sapute difendere bene nei negoziati, ma questa è una faccenda complessa e in cui è difficile dimostrare qualcosa… A occhio, dati gli interessi in gioco, nessun negoziatore greco sarebbe riuscito a cambiare ciò che i creditori volevano. Comunque, alla fine, l’esito è quello noto: il governo greco presieduto da Tsipras si è un po’ alla volta allineato alle richieste degli interlocutori europei, fino al punto di ignorare clamorosamente il risultato del referendum popolare del 5 luglio 2015. Scelta che provocò le dimissioni immediate di Varoufakis dal governo.
La testimonianza fornita in questo libro è eccezionale, anche perché viola le regole non scritte di riservatezza che gli addetti ai lavori si danno di solito (Varoufakis insiste molto sul suo profilo da outsider, in un contesto in cui tutti cercano di essere insider e parte di una rete intricata di rapporti tra persone “che contano”). L’affidabilità è difficile da valutare, ma mi sembra piuttosto alta. Il che rende interessante la descrizione dell’esplicito disdegno “that bordered on contempt” delle élite nei confronti della sovranità popolare. Su questo Varoufakis cita per esempio Pier Carlo Padoan, che avrebbe chiesto retoricamente come il governo greco poteva aspettarsi che “la gente comune” (“normal people”, p. 447) comprendesse complessi problemi economici. La risposta che Varoufakis dichiara di aver dato in questa occasione dovrebbe essere quella di qualunque sistema democratico:
“We are strong believers in the capacity of the people, of voters, to be active citizens,” I replied. “And to make a considered analysis and take decisions responsibly concerning the future of their country. This is what democracy is all about” (p. 447).
Ovviamente, il richiamo alla cittadinanza attiva è l’antitesi sia dell’elitismo sia del populismo – e la giusta strada da percorrere. Soprattutto perché, come anche Varoufakis mostra (e le mie esperienze personali confermano), le supposte élite sono assai meno competenti di quel che vogliono far credere, o credono. L’antagonista principale della storia, il tedesco Wolfgang Schäuble, viene per esempio descritto in questi termini in un rapporto attribuito a Glenn Kim:
His command of economics is quite weak. I can recall on more than one occasion him mixing up yields and prices and making references to financials without understanding what they mean. Absolutely hates the markets. Thinks that makets should be controlled by technocrats (p. 210).
Lato mio, sono molto interessanti anche i dettagli su come si svolge in questi ambienti il lavoro intellettuale. Come per esempio la descrizione di questo momento, nell’aprile 2015:
That night I worked for hours with Spyros Sagia, preparing the legal argument that I would present to Christine Lagarde. Spyros was scribbling in Greek in a legal notebook; I was typing into my laptop, the two of us managing little by little to produce Greek- and English-language versions of our official letter to the IMF managing director (p. 356).
Ma in generale, il centro di interesse del libro è una lotta contro persone che avevano un solo obiettivo: fare della Grecia un esempio per i governi europei recalcitranti. Obiettivo collegato al desiderio non solo di mantenere un saldo controllo tedesco sull’economia europea, ma anche di imporre specifiche politiche sul mercato del lavoro (come nel caso del “Jobs Act” del governo Renzi: p. 200), con l’ideale di portare, prima o poi, “la troika anche a Parigi”. Alla base di tutto c’è poi il terrore dei politici tedeschi di presentarsi come deboli di fronte ai propri elettori… E in un contesto simile, i tentativi di Varoufakis di proporre soluzioni economicamente ragionevoli e rispettose dei cittadini erano destinati alla sconfitta (queste sono anche le conclusioni presentate da Adam Tooze in un’importante recensione al libro). La sua testimonianza resta però fondamentale per capire quanto nell’Europa di oggi la democrazia e lo sviluppo economico siano minacciati dal populismo da una parte, dalla tecnocrazia dall’altra. La sfida non è facile, ma di sicuro avere più informazioni sulla situazione aiuterà a gestire questi tempi difficili.
Yanis Varoufakis, Adults in the Room. My Battle with Europe’s Deep Establishment, Londra, Vintage, 2017, pp. vii + 562, £ 9,99, ISBN 978-1-784-70576-3.