Che cosa si fa quando gli studenti occupano e bloccano le lezioni? Domanda interessante, soprattutto quando i loro obiettivi (= fermare il percorso parlamentare del DDL sull'università) sono perfettamente ragionevoli e, per quel che mi riguarda, condivisi.
Dunque, protestare va benissimo. Salire sui tetti va bene... l'ho
fatto anch'io (foto n. 8, in posa un po' improbabile). I cortei vanno bene. Le dichiarazioni di indisponibilità dei ricercatori non solo vanno bene, ma in molti casi cancellano una situazione di illegalità (visto che molti di noi, me compreso, dedicano a lezioni, esami e tesi più tempo di quanto
permesso dalla legge, e fanno quindi una cosa che non si dovrebbe fare...).
Viceversa, bloccare traffico, treni e aerei non va bene, e basta. D'accordo, in Italia lo fanno tutti: da chi protesta per le multe delle quote latte fino ai tifosi. Però questo non rende meno odiose le prepotenze di questo tipo - neanche se fatte in nome di obiettivi meritevoli.
E bloccare le lezioni? Anche questo non va bene, ma per un breve periodo è tollerabile, e forse non ha troppi effetti. Certo, la pretesa di minoranze minuscole (di regola, partecipa attivamente alle proteste non più di un 5% di studenti) di parlare a nome di tutti è ridicola. E la pratica di impedire le lezioni bloccando le aule è, semplicemente, un atto di prepotenza.
Detto questo... Un pacco postale arriva o non arriva. Un treno è in orario o è in ritardo. Ma un corso universitario che funziona non è necessariamente un corso in cui tutte le ore sono svolte: il corso funziona se gli studenti imparano, punto. Le ore di lezione, da questo punto di vista, sono solo uno strumento al servizio di un risultato.
E quindi, le ore perse sono un problema? La sorpresa (ma non tanto, per gli addetti ai lavori) è che è molto difficile dirlo. Per l'Università di Pisa, attualmente, un credito corrisponde a 7 ore di lezione. Due anni fa corrispondeva a 6 ore: i corsi da 12 crediti sono passati quindi da 72 a 84 ore. Ciò significa che le conoscenze degli studenti sono aumentate del 15%? Difficile capirlo, ma, verosimilmente, no. Di sicuro, i programmi di molti corsi sembrano rimasti uguali, e il monte ore complessivo di impegno richiesto agli studenti non è variato.
In sostanza, l'insegnamento dà struttura allo studio, ma non sembra esista una proporzione diretta tra il tempo passato in aula e l'apprendimento. Come fa notare anche
Luca Serianni,
forse nella scuola italiana le ore di lezione sono / erano troppe. Anche nell'Università di Pisa la discussione sul numero di ore di lezione necessario per raggiungere un credito si muove tra le 5 (caldeggiate da molti docenti di Lettere e Filosofia) e le 8 (richieste, sembra, da molti docenti di facoltà scientifiche). Il tutto, ovviamente, a parità di risultati attesi, e in mancanza di dati solidi che dimostrino la maggiore efficacia di una soluzione o dell'altra.
Insomma, supponendo che la banda di oscillazione 5-8 corrisponda alla realtà, in un semestre con 10 o 11 settimane perfino tre o quattro settimane di blocco della didattica
potrebbero non avere effetti pratici sull'insegnamento di molte materie. Questo non vuol dire che l'occupazione (non unanime) sia una forma di protesta accettabile: non si può imporre agli altri la propria volontà, se non nelle forme definite dalle leggi. Vuol dire però che questo sgarbo, a differenza di molti altri, forse non produce conseguenze di rilievo - e, paradossalmente,
potrebbe addirittura portare a un apprendimento più efficace (!)... se, per esempio, i sostenitori delle 5 ore avessero ragione.